(Molte delle cose che scrivo sono figlie di un’offesa. E della fretta. Una fretta inutile, una sorta di impellenza insopprimibile che è molto legata anche a questa tecnologia che ci ritroviamo sotto le dita. Scrivo rapidamente, anche ora, sull’onda di una preoccupazione. Pensieri superficiali da condividere subito.
Quasi nulla di tutto questo è poi vero. Le offese in realtà non lo sono quasi mai, si tratta semmai di improvvisi moti di fastidio, già scomparsi dopo cinque minuti; quanto al resto abituarsi ad esprimersi liberamente è una terapia alla quale è difficile rinunciare. Anche se talvolta forse sarebbe il caso).Una delle mie storie preferite recenti è il dialogo sulla mediocrità italiana. La vedo comparire ovunque, esce dalle pareti, pretende attenzione dai giornali ed in TV. Questa, per esempio – a proposito – è la classifica Auditel delle dieci trasmissioni TV con più spettatori del 2015 in Italia. L’ha
pubblicata crudelmente oggi Emmebi su Twitter.

Se esiste (ma esiste?) una discontinuità fra l’Italia e gli altri Paesi, per quel poco che vedo in giro, io la individuerei forse dalle parti della mediocrità. Che è endemica e contagiosa, è la
forma mentis della società occidentale, ma che da noi assume spesso i tratti eccessivi dell’operetta. L’Italia del 2015 è un Paese dominato da mediocri di talento come mai lo è stato in passato. Un luogo nel quale capacità espressiva e divulgazione sono la gran parte del tutto.
Prendi Oscar Farinetti: un simpatico mercante piemontese di talento, innalzato a furor di televisione alla funzione di cane pastore delle traiettorie intellettuali italiane. Farinetti è un uomo intelligente ed ovviamente si schermisce, ma fra un “figuriamoci” e l’altro ci indica la strada del futuro del Paese dai palcoscenici televisivi. Un uomo del fare, una brava persona che snocciola numeri a mitraglia: uno che in mezzo ad un sacco di frasi ad effetto, alcune delle quali magari anche geniali, spara anche un sacco di sciocchezze a caso. Tanto poi nessuno se ne accorge e quelli che se ne rendono conto saranno disposti rapidamente ad archiviare la pratica con un sorriso di comprensione.
Il fatto è che la mediocrità è un attimo: spezza in cinque secondi qualsiasi onorata carriera. Domandarsi se ci meritiamo Farinetti è una buona domanda alla quale io non so rispondere. Voi?
Tornando all’inizio: la piccola offesa di ieri è questa
risposta di Alessandro Baricco ad un giornalista de Il Fatto Quotidiano.
Come giudica questa generazione di giovani, precaria e più povera dei propri genitori?
Innanzitutto non è più povera. C’eravamo abituati al fatto che i figli sarebbero stati più facoltosi dei propri genitori, oggi invece molti possono ambire a mantenere il livello della propria famiglia. Una situazione talmente nuova che viene letta come un crollo, invece è un sanissimo fermarsi in questa folle corsa verso un profitto sempre più grande.
Baricco, se osservate bene, è Farinetti in un altro formato. Più affascinante e meno verace, meno simpatico e anzi quasi altezzoso, come ci si aspetta poi da un grande intellettuale. Anche se purtroppo Baricco sta alla letteratura dentro quello spazio statistico che si potrebbe denominare facebookianamente “persone che potresti conoscere”, uno degli accrocchi meno riusciti della piattaforma di Marchino Zuckerberg.
Anche Baricco come Farinetti è un uomo dal chiaro talento divulgativo, perfetto nel ruolo strettissimo di
spiegatore culturale da format TV o di inviato speciale di Repubblica ad un evento sportivo o a un concerto dall’altra parte del globo che domani Alessandro ci racconterà in prima pagina argutamente, meravigliandoci e facendoci sorridere dentro l’eleganza della sua scrittura istintiva. Roba che funziona, che quasi nessuno saprebbe fare meglio. Un po’ come quando Antonio Albanese fa il comico e non il pensoso attore drammatico.
La mediocrità in sé, non sarebbe quel gran vizio. Certo occorre saperci convivere, provare a sfuggirle ogni tanto. Svicolarle fra le gambe è una delle scommesse della nostra vita. A volte riusciamo, altre volte no. Diventa invece un peccato capitale quando viene scambiata per qualcosa d’altro, soprattutto quando il mediocre viene eletto a simbolo. Quando una simile sostituzione accade, ed in Italia accade continuamente, la cerimonia che questo Paese manda in mondovisione è quella della propria complessiva mediocrità, dell’incapacità di annusare e premiare il talento, la fatica nascosta, l’applicazione e la testardaggine dei migliori di noi.
Purtroppo si tratta di un tema che ritorna spesso, quasi involontariamente in questi giorni, ma quando il racconto supera così nettamente la realtà fattuale la prima cosa che va in frantumi, almeno a casa mia, è la capacita di rimanere in silenzio. Perché se qualsiasi cosa può essere raccontata, come la cretinata di Baricco sui giovani italiani che non sono poveri ma “
si oppongono alla folle corsa verso un profitto sempre più grande”, il punto non sembra essere tanto quello di mettere in fila una serie di parole che producano un bel suono quanto quello di pretendere che simili frasi siano stigmatizzate. Per lo meno nel minuscolo spazio di resistenza umana che ognuno di noi può produrre.
La realtà economica della classe intellettuale italiana, che è fatta in gran parte di giovani laureati sottopagati e sfruttati, non è un’opinione e tantomeno uno di quei temi che possa essere lasciato allo storytelling baricchiano. Giusto oggi Valigia Blu ha
pubblicato le retribuzioni lorde annuali dei giornalisti freelance o di quelli con contratti a progetto riferite al 2013. Gente che porta a casa qualche centinaio di euro al mese opponendosi con grande efficacia alla folle corsa verso un profitto sempre più grande ma lasciando – contemporaneamente – questo Paese aridissimo e senza speranza. Giovani generazioni costrette a gravare sulle spalle dei genitori in pensione scrivendo articoli per la grande testata editoriale a 5 euro (lordi) a pezzo.

La propaganda sui media della Scuola Holden in verosimili difficoltà, il soccorso economico di Farinetti e Guerra, la centralità mediatica e politica dell’Alessandro nazionale, grande banalizzatore dell’Iliade (come scriveva eroicamente Berselli già molti anni fa) nonché grossolano accettatore della complessità storica del medioevo adattato alle sue metafore sui Barbari, vanno al di là di ogni mio possibile giudizio sulle sue qualità di scrittore (del quale giudizio per altro chissenefrega). Si dirigono talmente lontano da non riguardare più nemmeno lui, Oceano Mare ed altre balle, per schiantarsi infine, dolorosamente e a mo’ di boomerang, contro noi stessi e la nostra incapacità di sceglierci una classe intellettuale e dirigente che ci sia di esempio.
Perché davvero sfuggire alla mediocrità è il principale dei traguardi culturali che possiamo darci ma per farlo, per provarci, serve un passo preliminare, una specie di scrittura privata fra noi e il mondo: individuare gli esempi, isolarli dalla massa di quelli come noi e iniziare ad imitarli come fossimo tante ochette di Lorenz a spasso per il giardinetto austriaco.
Solo che Lorenz non c’è quasi mai. E in testa al branco a dirigere la truppa c’è spesso un’ochetta come noi. Sperduta come noi, anche se con il petto un po’ più in fuori di noi. E questo, beh questo, credimi, ma è un problema serissimo.